Ilnur ZAKARIN. 10. Parte perché deve partire, resta perché deve restare, dice di non stare benissimo, ma poi fa quello che deve fare più che bene.
Mikel NIEVE. 8. Viene promosso sul campo capitano dalla Mitchelton Scott dopo la deblacle di Simon Yates. Finisce secondo, ma questo è solo il primo atto.
Mikel LANDA. 8. Va e semina il panico, raccogliendo minuti. Risale la classifica, come se avesse preso lo skilift. Sempre più in alto il basco, giù il cappello.
Bauke MOLLEMA. 7. Prende il largo con la sua allegra brigata targata Trek Segafredo. Condizionano la corsa come pochi, alla fine resta lui davanti. Vedrete, questo fino alla fine è là.
Rafal MAJKA. 7. Non dà mai l’impressione di essere super, però è uno che di testa ha qualcosa di più.
Primoz ROGLIC. 8. Tranquillo, sereno, e chi lo schioda. Il problema è proprio questo: chi lo schioda. Pedala agile, senza forzare mai. Quando lo fa, fa male. Adesso che diversi uomini di classifica sono rientrati in gioco, sarà interessante vedere come reagiranno i vari Landa, Lopez, Carapaz, lo stesso vincitore di oggi Zakarin. Tutti rientrati in classifica e chiamati quindi a recuperare terreno soprattutto su Roglic, che al momento è secondo a 2'25” dal connazionale sloveno Jan Polanc. Roglic appare il più tranquillo di tutti: consapevole di avere anche il jolly della crono di Verona, gioca di rimessa e intanto gioca con gli avversari.
Vincenzo NIBALI. 6,5. È una scelta, puntare Roglic per mettergli pressione, per metterlo in un angolo e provare a fargli perdere il Giro, nella speranza di poterlo vincere. È un lavoro difficile, complesso, che non so bene quali frutti possa portare. Io so solo che Enzo deve recuperare sullo sloveno, e oggi è finita pari e patta con qualche vaffa.
Pavel SIVAKOV. 8. Che corridore ragazzi, così giovane e così dotato. Il dubbio è la terza settimana? Io non ho dubbi: questo ragazzo ha stoffa.
Davide FORMOLO. 7. Fatica come un musso, non molla però di un centimetro. Disputa una tappa da autentico fachiro, da uomo che si immola sull’altare del sacrificio e non indietreggia per niente al mondo. Barcollo ma non mollo: questo è Formolo.
Miguel Angel LOPEZ. 7. Arriva dietro solo perché ha davanti a sé la “vecchia dai denti verdi”, la strega che gufa, la fattucchiera che te l’ha giurata. Lui però lotta. Non tutti i giorni bucherà. E questo non scoppia.
Jan POLANC. 8. Resistenza, resistenza, guai a chi molla. Si aggrappa al manubrio e ad una maglia che sente ancora sua. Perché lo è.
Simon YATES. 4. Il bulletto del girettino non parla più.
Fausto MASNADA. 6. Fa una grande tappa, ma ad un certo punto si possono anche gestire un po’ meglio la corsa e le proprie energie residue.
Bob JUNGELS. 2. Si prende tredici minuti. Se solo penso che non ha tirato una volata a Viviani per salvare la gamba, girano a me anziché a Elia.
Giulio CICCONE. 7. Fachiro. Premio maglia azzurra.
Dario CATALDO. 8. Anche oggi, come ieri, parte e va nella fuga più importante di giornata. Quando alle sue spalle gli Astana decidono di mettersi in azione con Bilbao e Lopez, si lascia sfilare e scivola indietro per dare una mano alla causa. Dario fa sempre quello che gli dicono: uomo squadra. Uomo ovunque: se lo cerchi c’è.
L’INNOMINATO. 1. Nella Valle dell’Orco, in mezzo agli stambecchi e alle marmotte, alle aquile e ai camosci, c’è anche spazio per un idiota di specie umana. Si aggira generalmente in branco, in mutande. Uno di questi, scivolando nel suo incedere ebbro e garrulo, ha rischiato di far cadere Vincenzo Nibali, che d’idioti e innominati sulla propria strada ne ha già incontrati più d’uno.
Tao GEOGHEGAN HART. 7. Il corridore londinese della INEOS entra nella fuga di avanguardia e poi è costretto al ritiro a causa di una caduta. Dolore corporale, dolore morale. Tao rosso crinito è rosso di rabbia. Ma tornerà, per la rosa.
Giovanni LONARDI. 7. Finisce il Giro per Mark Renshaw della Dimension Data e per il giovane 22enne veronese della Nippo Fantini. Per lui un battesimo rosa di tutto rispetto. Ha fatto vedere cose molto interessanti, il giovanotto va preservato e fatto crescere con giudizio, ma c’è.