Il Giro si concede una pausa nei pressi di casa sua. I giorni di riposo sono utili ai corridori per tirare il fiato, e per salutare mogli e fidanzate. Per chi ama il ciclismo come noi, sono momenti preziosi per incontrare amici e vecchi campioni.
Ad un passo da Riccione, dove la carovana rosa l’altro giorno si è fermata prima di puntare ieri verso Modena, vive una leggenda del ciclismo: Ercole Baldini. “Il treno di Forlì”, 86 anni portati a dispetto della sua mole con assoluta leggerezza, ci accoglie con gioia. «Mi perdonerai se non ti dico che sono felice di vederti, perché ormai la mia vista si è di molto offuscata – ci dice -. Anche il Giro, ormai, lo ascolto e basta. Se però fanno dei primi piani beh, qualcosa riconosco».
Ercole sta bene, ha voglia di parlare: soprattutto di ciclismo. «Sono felice di quello che ho dato e di quello che ho ricevuto. Oggi mi diverto con Nibali, che è un ragazzo che mi è sempre piaciuto tanto. È quello che interpreta il nostro sport all’antica. Lui è forte tutto l’anno e in ogni corsa. Basta che si metta il numero sulla schiena e lo spettacolo è assicurato».
Ci porta in giro per la sua bellissima casa-museo, accompagnato da Maria, che per Ercole non è solo vista, ma vita. Nella sua residenza sulla via Emilia c’è anche il suo museo, con maglie, medaglie, trofei di ogni tipo e libri: tanti libri.
L’anno di grazia? Il 1958. Quell’anno vinse 15 corse, quasi la metà (40) dei successi ottenuti in otto anni da professionista. Un anno di grazia, pieno di colori. Quello verde oliva della Legnano, e poi rosa del Giro, prima l’azzurra e poi l’iridata ai Mondiali e la tricolore ai campionati italiani. «Mi sono divertito parecchio: andavo davvero come un treno», ci racconta orgoglioso.
Ma Ercole è anche campione di modestia. «No, non sono stato un super, sono durato troppo poco: mi considero più una meteora. Il più grande di tutti? Eddy Merckx: è stato qualcosa d’immenso e inavvicinabile».
Baldini per il ciclismo è stato molto. Prima corridore, sia su pista che su strada, poi direttore sportivo e dirigente. Ha anche ricoperto il ruolo di presidente dell’Associazione dei corridori e della Lega del ciclismo professionistico, non per niente la Rcs Sport, la mamma del Giro d’Italia, l’ha inserito nella “Hall of Fame”: «Il riconoscimento più bello e inaspettato», dice.
Un signore d’altri tempi, sempre generoso e schietto. Per questo rispettato e amato. Ci dica di Coppi... «Grande corridore, ma la dama… La sua rovina».
E Anquetil? «Uno dei miei migliori amici. Un fuoriclasse assoluto. Ricordo come se fosse ieri quando fummo ospiti a Marcinelle, in Belgio, nella miniera dove nel 1956 morirono 262 minatori, più della metà italiani: ci regalarono una lampada da minatori. Poi disputammo un circuito ad ingaggio, e io stavo quasi per ritirarmi, ma Jacques mi affiancò e mi disse: ‘Ercole, guai a te: la miniera è più dura’. Tenni duro fino all’arrivo».
Nel cuore ha anche Marco Pantani, che a casa sua passò in visita più di una volta. «Ha gettato via la vita. Aveva tutto, ma non ha avuto al proprio fianco le persone giuste. Oggi tutti lo ricordano, oggi tutti lo rimpiangono e lo piangono, ma dove erano all’ora?».
Poi però la corsa di oggi riprende il sopravvento sui ricordi, e Baldini la sua idea ce l’ha: «Non sarà facile, perché Roglic è davvero tosto, ma Vincenzo ha esperienza e coraggio da vendere». Poi fa una pausa e, socchiudendo gli occhi, dice: «Mi sembra già di vederlo Vincenzo: ce la può fare».