A quanto pare, la festa è doppia: l’Italia torna al Giro d’Italia, prendendosi tappa e maglia, in più tutti quanti si levano finalmente dai piedi Primoz Roglic. L’antipatico, l’indesiderato.
Ma sì, è dal primo giorno, dalla sua trionfale cronometro di Bologna, che lo sloveno va di traverso a un sacco di gente.
Improvvisamente svanita tutta la predisposizione retorica nei confronti del ciclista medio, per intenderci la stessa che ha portato la grancassa a celebrare con taniche di simpaticismo le gesta dei giapponesi (mi dissocio: li raccontano come amabili fenomeni da baraccone, meritevoli del nostro affetto superiore, ma meriterebbero semplicemente rispetto vero).
Per Roglic non c’è margine. Ogni occasione è buona per rigirargliela contro. Quando capita che magari dopo una tappa problematica ritardi il suo arrivo in sala stampa, come succede a tutti i leader di tutti i grandi giri, subito si racconta che faccia il prezioso, che sia nervosetto, che riveli tutta la sua spocchia.
Che cosa strana. Solitamente, se e quando un volto nuovo prende la scena in una grande occasione, tutti si danno da fare per costruire il nuovo personaggio. Per rivelarne le qualità, per raccontarne i lati migliori. Con Roglic non c’è niente da fare. Lo vedono imbronciato, accigliato, ascendente seccato. Lo vedono poco cordiale, sfuggente, vagamente montato.
Personalmente non so bene che cosa abbia fatto di male questo sloveno per meritarsi tutto questo circolo di carogne alle calcagna. Mi limito a dare una testimonianza in più sperando valga qualcosa, non essendo io né parente né socio né compagno di merende di Primoz. Senza tanto farla lunga: è un tipo disponibile, educato, umile, tranquillo. A domanda risponde, a saluto saluta. Esteriormente non personeggia con i segni distintivi del tempo, tatuaggi barbe baffi orecchini, a livello di carattere si presenta mansueto e riservato. Tutto qui. Magari non è quel genere di mattacchione che tiene subito in piedi la compagnia fischiando alle miss e lanciando lo schiaffo del soldato, ma questo – bisogna pur ammetterlo – non è requisito fondamentale per essere persone degne. Quanto al corridore in sé, c’è una grande fretta di vederlo spacciato: in tanti lo vedono già chiaramente declinante, dopo la partenza sprint, troppo sprint, della primavera. Sul traguardo di Frascati, peraltro unico leader di classifica a farsi trovare in testa dopo la caduta, lo dipingono in chiara difficoltà nella volata, non vedi come s’è staccato subito quando Carapaz ha accelerato (opinione personale: con molta intelligenza, ha lasciato fare ai cacciatori di tappa, ma la pedalata era una meraviglia).
E in ogni caso: quello che è, quello che sarà, lo scopriremo quanto prima, soprattutto all’arrivo della cronometro di domenica, San Marino. A seguire, sulle Alpi. Per il momento, mi sembrava il caso di accoglierlo almeno con un minimo di curiosità, come un benvenuto al nuovo che viene avanti e che piano piano bisogna scoprire. Qui invece siamo arrivati alle conclusioni – ostilità e gelo – prima ancora di cominciare.
Non è fenomeno del tutto nuovo, peraltro: c’è chi nasce con la camicia e vive subito in mezzo alle carinerie generali, poi c’è chi nasce senza neppure la canottiera e deve andare avanti tra le gomitate nei denti. Roglic è delle seconda specie, evidentemente. Non avendo la camicia, deve procurarsi comunque qualcosa da mettersi. Magari una maglia. Magari rosa. Alla faccia di chi gli vuole male.