P come Processo alla tappa. Nel senso di storica trasmissione in onda dopo la diretta della corsa. Storica perché è ferma alle prime edizioni: gli ultimi Processi alla tappa veri risalgono a mezzo secolo fa. Pur alternando i conduttori, da anni non viene risolto il problema principale: sincronizzare il programma con la corsa. Quando c’è lo sprint, si dedica la puntata a Nibali, quando due corridori litigano in corsa si celebra il vincitore del giorno prima, quando arrivano le montagne si discute su chi sia stato il velocista migliore, quando un favorito crolla si festeggia la nascita del figlio di un gregario: un po’ come quei ristoranti dove si fatica a cucinare piatti espressi e si servono solo prodotti surgelati. Mai come quest’anno, è ferma anche la scenografia: il Processo vero andrebbe fatto a chi ha allestito il palco. Una panca per far sedere gli ospiti, neppure comodissima, e stop: per fare meglio, bastava passare all’Ikea. E’ uno scenario così desolante che persino il geniale inventore del programma, Sergio Zavoli, rifiuterebbe di entrarvi come ospite: uno degli ultimi invitati, per migliorare l’ambiente, si è persino offerto di portare una pianta. A far capire che si tratta di un programma tv è la presenza del conduttore in piedi: vedendo quattro figuri immobili e allineati uno a fianco dell’altro, c’è il rischio che chi transita nei paraggi pensi di esser finito al luna park anziché al Giro. E chieda dove si noleggi il fucile per partecipare al tiro a segno.
T come Tafi. Nel senso di Andrea, ex corridore di valore, vincitore di classiche. Anche se al termine ex si sta ribellando da tempo: compiuti i cinquant’anni, anziché usar la bici per fare belle passeggiate, ha ripreso a gareggiare fra gli amatori. Ci ha preso così gusto da convincersi di poter tornare a correre alla sua età la Parigi-Roubaix, vinta vent’anni fa, ultimo italiano a riuscirci: la Rubè vera, quella di Sagan per intenderci, non quella dei ragionier Fantozzi. Avrebbe voluto farla già quest’anno, ma non ha trovato una squadra disposta ad ingaggiarlo soltanto per la corsa. Poi si è rotto una clavicola e si è messo il cuore in pace. Almeno per quest’anno: già il prossimo intende riprovarci. ‘Un po’ in ritardo, i francesi hanno capito che la mia presenza è utile’, dice. Per convincerli, cambierà strategia: invece di annunciare di voler fare la Rubè e poi cercarsi una squadra, farà il contrario. Un po’ in ritardo, anche lui l’ha capita.
T come trecentosessanta. Nel senso di pillola televisiva con cui Eurosport riassume la tappa. Un piccolo gioiello, oltre che una felicissima idea: sei minuti montati benissimo, dove Giulia Cicchinè si diverte con i due telecronisti, Luca Gregorio e Riccardo Magrini, un vero show man prestato alla diretta. E’ un modo divertente di seguire il Giro, è la conferma che si può proporre in grande stile la corsa a 360 gradi anche senza disporre di mezzi da novanta.
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