C’è il Coppi che vince, a mani basse, e il Coppi che non vince, impenetrabile, e c’è anche quello che perde, spento. C’è il Coppi in salita, rapace, e il Coppi in pista, aerodinamico. C’è il Coppi alla partenza, teso, e il Coppi all’arrivo, invecchiato. C’è il Coppi che sorride, una rarità, ma non così rara, e il Coppi che disegna una smorfia, tra sofferenza e sfinimento, forse anche destino.
C’è il Coppi solitario, sulla strada, sulla pista, dovunque, e il Coppi insieme, insieme con i gregari, rassicurato, garantito, regale, insieme con gli avversari, fiero, responsabile, consapevole, insieme con la folla, assediato, con i giornalisti, circondato, con gli sportivi, amato, con i bambini, amorevole, con il fratello Serse e con Gino Bartali, un altro fratello che la vita gli regalò, strada facendo. E c’è anche il Bartali con Coppi.
C’è il Coppi a terra, ingessato, il Coppi sui pedali, incerottato, e il Coppi a letto, immobilizzato. C’è il Coppi in pigiama e il Coppi in canottiera. C’è il Coppi in maglia rosa e il Coppi in maglia gialla, in maglia tricolore, in maglia azzurra, in maglia iridata, in maglia Bianchi, Carpano e Tricofilina, in maglione, con la maglia della salute, in tuta e a torso nudo, scheletrico, pelle e ossa, si contano le costole.
C’è il Coppi che fa la pipì, e intanto un giornalista, Luigi Chierici, direttore di “Stadio”, continua a parlargli come se niente fosse, e c’è il Coppi che si fa regolare barba e capelli. C’è il Coppi con Bruna, la prima moglie, e il Coppi con Giulia, la seconda. C’è il Coppi con Marina e il Coppi con Faustino. C’è il Coppi con la gigantesca famiglia del ciclismo e nei mille luoghi del ciclismo. C’è il Coppi al Giro d’Italia e il Coppi al Tour de France. C’è il Coppi sullo Stelvio e l’Izoard e il Coppi alle fontane e ai rifornimenti. C’è il Coppi con Ray Sugar Robinson e il Coppi con Alfredo Binda, Jean Robic, Hugo Koblet, Fiorenzo Magni, Luciano Pezzi, Alfredo Martini, Ercole Baldini, Ubaldo Pugnaloni, Michele Gismondi… e i suoi angeli custodi Ettore Milano e Sandrino Carrea. C’è il Coppi che viene spinto in salita e il Coppi che viene accompagnato al cimitero.
“Fausto Coppi”, ovvero la grandezza del mito (Minerva, 400 pagine, 39 euro), è un librone che si legge, che si studia, che si mangia con gli occhi. Perché è il giacimento aurifero dell’archivio fotografico di Walter Breveglieri, bolognese di Crevalcore, del 1921 lui (due anni meno di Coppi), del 1946 l’assunzione al “Resto del Carlino” e la fondazione dell’agenzia, dunque l’inizio di un patrimonio di immagini che specchiano la storia del ciclismo (seguiva le gare in moto, nel cuore della corsa e nei volti, nei polmoni, nei muscoli dei corridori) e dell’Italia. Un librone così grande, così profondo, così definitivo che vale anche come mostra. In più, testi di Orio Vergani, Giulio Crosti, Ruggero “Raro” Radice, Luca Liguori, Gian Paolo Ormezzano, Claudio Gregori, Gianfranco Civolani, Paolo Francia, Sergio Neri, Italo Cucci, Claudio Ferretti, Gianni Mura, Salvatore Giannella e Marino Bartoletti. A cura di Luciano Boccaccini, e c’è anche un ricordo di Marina Coppi e Faustino Coppi (ricavato dal libro scritto con Salvatore Lombardo).
Eppure quest’opera non è perfetta. Alcune didascalie, insufficienti (mancano nomi e cognomi dei protagonisti) o scorrette (pagina 275: quello con Coppi non è Antonin Rolland, ma Fiorenzo Crippa). Amen. Si potrà correggere alla prima ristampa. Arriverà presto.