PISTA | 03/03/2019 | 10:46
di Gian Paolo Porreca
L’ impresa siglata ai Mondiali di ciclismo su pista in Polonia da Filippo Ganna è di un rilievo francamente straordinario. Un terzo titolo iridato nell’ inseguimento individuale, dal 2016 ad oggi, con un secondo posto intercalato, per un ragazzo che non ha neanche compiuto 23 anni, costituisce un primato assoluto e dai margini imprevedibili di miglioramento. Già, tre medaglie d’ oro, solo una in meno del primatista sovrano degli almanacchi, il britannico Hugh Porter, che si impose quattro volte, e a quota tre appaiato a campioni stranieri come Riviere, Oersted, Bartko e Wiggins, e ai soli gloriosi italiani Guido Messina e Leandro Faggin.
La valutazione tecnica è che Ganna, questo gigante di Verbania dal cognome che sa di antico, riscriverà davvero la storia dello sport. Anche se non raggiungerà, certo senza sua colpa, la figura romantica di Leandro Faggin, quell’ inseguitore dal fisico ingrato, tronco come il cognome, mica un titano Adone come Ganna, che imparammo ad amare a Napoli, nelle riunioni ciclistiche su Via Caracciolo, nella festa del 1 maggio, primi anni ‘60.
Quel Faggin minuto, raccolto, pochi biondi capelli, in perpetua rincorsa sul rettilineo opposto alle tribune, così sul lungomare di Napoli come sulla pista di Rocourt, dai recuperi devastanti. Quel Faggin dai finali da cardiopalmo, quel cuore gettato oltre gli ostacoli, si chiamassero essi Bracke o Post, che l’ avrebbe tradito nella vita troppo presto. E che pure contro Ganna ci inventeremmo in disfida ancora, a tempi tanto sfalsati e differenti, per un cocciuto diritto alla tenerezza. Leandro contro Filippo, due italiani, un testa a testa finale, ma ex-aequo. Come impone la memoria.
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