L'ORA DEL PASTO. RICCARDO E QUEL COGNOME PESANTE...

PROFESSIONISTI | 25/02/2019 | 07:38
di Marco Pastonesi

Che cosa fai quando nasci con un cognome che, nel ciclismo, si traduce in 52 vittorie, di cui due tappe al Giro, tre al Tour e sette alla Vuelta più due Parigi-Tours? Il ciclismo, o lo ami o lo odi.


Che cosa fai quando hai cinque anni e Santa Lucia ti porta un bicicletta da corsa gialla? La bicicletta, o la sposi o la rinneghi.


Riccardo Minali si è innamorato del ciclismo e ha sposato la bicicletta. A Isola della Scala, terra di riso e di velocisti, non è un’originalità: Elia Viviani, per dirne uno, che perdipiù ha vinto Olimpiadi e Mondiali, abita a un passo. “Saltai in sella a quella bicicletta gialla, volevo correre ma non potevo, troppo piccolo, così cominciai a uscire con quelli che avevano un anno più di me”. Un anno di attesa, di sogni e speranze, di pedalate, e finalmente la prima corsa: “Al traguardo pensavo di essere primo, ed ero felice, invece mi dissero che ce n’era una davanti, che non avevo visto, e mi disperai”. Per la prima vittoria dovette attendere forse una settimana: “Finale a due. A 300 metri dall’arrivo presi una buca e mi saltò il piede dal pedale. L’altro, che era quel bambino che mi aveva battuto la volta precedente, pensò che si dovesse fare così, e anche lui tirò fuori il piede dal pedale. Insomma, arrivammo tutti e due con un piede solo. E stavolta vinsi io”. Correndo e vincendo, anche e nonostante quel cognome pesante perché importante, e salendo da una categoria all’altra, è finita che Riccardo ci ha creduto: “Ho lasciato gli studi, ragioneria, e mi sono dedicato al ciclismo, strada e pista. Contento, perché sono pochi quelli che possono fare della propria passione una vera professione. Ma se potessi tornare indietro, vorrei prendere il diploma, anche se con la sufficienza. Non saprei dire se quella rinuncia fu un atto di onestà verso di me e i miei genitori, o soltanto una fesseria”.

Riccardo ha ereditato dal papà Nicola la passione-professione, ma anche doti, caratteristiche, qualità: “Velocista. E non è vero che i velocisti sono gente solo da ultimo chilometro. Le volate cominciano alla partenza, quando si avverte una certa agitazione, continuano in corsa, quando si cerca di risparmiare nelle energie e nei pensieri, si dichiarano a una decina di chilometri dall’arrivo, quando entrano in azione i treni, quando i nervi sono tesi, quando volano anche le parole se ci si tocca e ci si spinge, si frena e si inchioda, si sbanda e si cade, bollono nell’ultimo chilometro, quando sale la tensione, ed esplodono negli ultimi 200 metri, quando tracima l’adrenalina”. Già, l’adrenalina. “E’ un piacere vivo, una sensazione speciale, un’emozione travolgente. Non ho mai provato nulla di così entusiasmante, e fisicamente ormai quasi necessario, come l’adrenalina delle volate. Quando tutti lottano per vincere. Quando ti sembra di giocare per la vita o per la morte. Quando si rischia, si azzarda, si tenta. Un’adrenalina così non si compra da nessun’altra parte”.

Tra i professionisti, Ricky ha esordito al Tour de San Luis, in Argentina, con la nazionale italiana, nel 2016. “Nei due anni, 2017 e 2018, con l’Astana, ho imparato a stare in questo mondo, studiare e migliorare, anche in salita, il mio punto debole. Una grande esperienza di vita e di ciclismo. Adesso con la Israel Cycling Academy il mio compito è portare vittorie. La condizione non è ancora quella ideale, ma migliora, e già alla Tirreno-Adriatico farò meglio che qui al Tour of Antalya (quarto nell’ultima tappa, ndr). Vincere è tutto? Vorrei dire di no, perché sbagliando si impara. Ma per andare avanti bisogna vincere, perché è quello che conta, quello che vale, quello che parla da solo senza bisogno di spiegare o raccontare. Ed è il mio lavoro di velocista, senza mezze misure: o tra i primi nelle corse piatte o mosse, o tra gli ultimi in quelle di salita, prima aiutando i compagni, perché da noi è tutto un dare per avere, poi solidarizzando nel gruppetto. Ed è da velocista anche la mia natura, veloce a mangiare, di fretta, veloce a dormire, cioè poco, veloce a leggere, sul tablet, veloce a comunicare, sui social. L’unica eccezione nella musica: il mio pezzo preferito è ‘Vivo per lei’, di Andrea Bocelli. Infatti non lo ascolto per caricarmi – sono già carico di istinto – ma per rilassarmi”.

Ecco Minali. Se fosse un colore, “il verde: via libera”. Se fosse un animale, “il toro: a testa bassa”. Se fosse un sentimento, “la fiducia: io guardo avanti”. Avanti 10 anni, si vede “spero con molte vittorie e una mia famiglia”. Avanti fra 30, si vede “spero ancora nel mondo del ciclismo, che mi ha già dato e che mi darà ancora”.


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