Qualunque cosa risulta oggettivamente iniqua, al confronto fra lo scontro fra una fuoriserie e due biciclette, urto due volte mortale. Ma è forse il caso oggi, anche se domani avrete ed avremo rimosso tutto, di ricordarsi di ricordare. Morire su una bici di notte, solo perchè il sole di febbraio non si è alzato già e i poveri Fatty ed Yaya provano sulle loro bici tra Teverola e Aversa a raggiungere di prima mattina un luogo dove sbarcare il lunario, è disumano. Ma fa parte dell'Appia nostra, e del gap assurdo di velocità, potenza e ignoranza che fra una bici ed un Suv o un 16 valves o un turbo diesel si va elevando all'ennesima potenza, su uno stesso contesto stradale. Con il cedere dei valori odierni, Fatty ed Yaya e le loro contorte biciclette non da sport, non da biking ma solo arnesi di lavoro, fra un paio di giorni saranno arruolati nel repertorio - dolore, amore, desideri, senza essere stati speranze di niente - delle vite e delle morti umane diseredate, deja vu. (Volete l'elenco?).
Ma noi che l'Appia la percorriamo ogni giorno, nel tragitto da Sessa Aurunca a Capua ed ogni volta sfioriamo in auto, senza correre, la figura esile di un corpo avvinto alla bici, scuro nello scuro dei tramonti di inverno, scuro non per colpa loro, vogliamo solo augurarci e sottoscrivere, anche se la nostra firma è ormai più patetica della loro, una petizione elementare. Che nessuno più, e di ogni intenso colore, vada su una bicicletta, agonista o bracciante che sia, senza l'ausilio della visibilità. Che a queste vite randagie, senza eroismo se non la solitudine, si offra il diritto, ad opera dei datori di lavoro o delle associazioni, a un catarifrangente. La vita - anche quella buia - va illuminata da vivi.
da ‘ Il Mattino’, ed. Caserta, 5 febbraio 2019