Pippo, come è nata l’idea di questo progetto?
«Ci è venuta voglia di creare questa sorta di academy, dalla quale si possono attingere giovani under 23 di talento. Insieme a Stefano Chiari abbiamo unito le sponsorizzazioni di Hopplà, Beltrami Tsa e Petroli Firenze, con l’obiettivo di creare una squadra Continental che possa dare un’esperienza diversa ai giovani atleti. Vogliamo farli correre coi professionisti, con un calendario internazionale che si unirà alle corse italiane, quelle nazionali dilettantistiche, come Giro d’Italia U23 e Giro della Valle d’Aosta, che sono due nostri grandi obiettivi. Siamo una bella squadra e ognuno ha il suo ruolo preciso. È un progetto valido che sono sicuro potrà lanciare tanti giovani ad alto livello».
Il debutto alla Vuelta a San Juan in Argentina è stato positivo.
«Sì, siamo rimasti contenti di come è andata. Hanno vinto il criterium il primo giorno e hanno interpretato bene la corsa, soprattutto considerando il livello molto alto che c’era e la loro giovane età. Il colombiano Castaño ha chiuso nei primi 20 in classifica e abbiamo piazzato tre corridori nei primi dieci della classifica under 23. Sicuramente un inizio incoraggiante».
Qual è il tuo ruolo all’interno del team?
«Mi occupo soprattutto del rapporto con gli sponsor e di gestire l’aspetto della comunicazione, che sono le cose che mi piacciono di più. Faccio meno dal punto di vista tecnico, ma per fortuna abbiamo dei grandi tecnici, Orlando Maini in primis, che è un uomo di grandissima esperienza ed è fondamentale per questo progetto. Vogliamo che i corridori imparino davvero ad essere dei professionisti, perché troppo spesso in passato abbiamo assistito ad atleti che hanno impiegato uno o due anni solamente per imparare le basi di questo mestiere. E Maini, che ho avuto anch’io come diesse nella mia carriera, è un maestro in questo, conosce questo mondo alla perfezione e sa come insegnare. Abbiamo fortemente voluto coinvolgerlo nel progetto».
E qual è l’obiettivo a lungo termine?
«Il mio sogno sarebbe quello di creare una squadra WorldTour. Ne sto parlando con gli sponsor, e se proprio non sarà nella massima categoria che sia almeno una Professional di alto livello. Ma al di là di questo è fondamentale mantenere un vivaio. La cosa principale è fondare un’academy dalla quale si possano pescare corridori di talento. Con Luca Mazzanti vorremo inserire i più talentuosi nella squadra Continental, conoscerli bene, e poi, nel caso facessero il salto di categoria, continuare a seguirli come procuratori, in modo da accompagnarli nella loro crescita fisica e professionale».
Un progetto che potrebbe dare nuova linfa al ciclismo italiano…
«Sicuramente sì. Sarà molto importante la comunicazione con gli sponsor, aspetto al quale tengo molto. Da questo punto di vista vogliamo essere innovativi e far capire a chi investe sulla nostra squadra la filosofia del nostro progetto. Per me creare una squadra Continental per vincere le corse del paese non ha senso; noi ci accontentiamo di vincere meno, l’importante è formare l’atleta e l’uomo. Se arriveranno nel WorldTour dovranno già saper fare i corridori; nella mia carriera mi è capitato diverse volte di vedere i neoprofessionisti non saper prendere un rifornimento, oppure fermarsi dalla parte sbagliata della strada per cambiare una ruota. Ecco, noi vogliamo evitare questo».
La tua opinione sul dilettantismo italiano quindi non è positiva?
«Per me non è più sufficiente per formare un corridore. Guardando le squadre estere, per esempio la Deceuninck Quick-Step, si può notare come peschi solamente corridori che vengono fuori da progetti Continental. Posso capire le difficoltà economiche ma, secondo me, se si crea un progetto serio, anche gli sponsor, che ormai non cercano più solamente la visibilità, ma anche un qualcosa in più che li possa rendere unici, possono rendere più facile trovare delle risorse economiche».
Quindi se l’Italia non ha più una squadra nel WorldTour secondo te non è solo una questione puramente economica?
«Sia chiaro, trovare sponsor è difficilissimo e me ne sto accorgendo personalmente in questo periodo. Però credo anche che ci sia un approccio sbagliato, che andava bene 20 anni fa. Siamo nel 2019 e le aziende non cercano più quello che cercavano nel 2000. Per questo secondo me bisogna rinnovarsi e cambiare il proprio atteggiamento verso gli sponsor».
Venendo a te, come è la vita di Pippo Pozzato dopo aver appeso la bici al chiodo?
«Continuo a vivere a Montecarlo. Ho aperto un autosalone in cui vendiamo e noleggiamo macchine. Torno in Italia una volta al mese per visitare mia mamma e per farmi una partitella a hockey a rotelle. Poi se ci sono eventi in giro o devo seguire la squadra da qualche parte, lo faccio senza problemi. Ho sempre viaggiato in giro per il mondo quindi, se c’è bisogno, continuo a farlo».
Come è nata la passione per l’hockey a rotelle?
«Ho iniziato a giocarci nel giardino dell’asilo quando avevo quattro anni, quindi ancor prima di iniziare col ciclismo, e sono andato avanti fino a quando ne avevo 13, dopodiché ho deciso di dedicarmi interamente alla bicicletta. L’Italia ha una buona tradizione in questo sport ma ovviamente non è molto pubblicizzato. Per me è come un hobby, gioco in Serie B e mi diverto».
È appena cominciata la prima stagione senza di te in gruppo: nostalgia?
«Per fortuna ho tanti progetti a cui dedicarmi, quindi non ci penso troppo. Poi adesso c’è questa bella squadra, sulla quale sono concentrato al 100%, da far crescere e che spero possa portare tante soddisfazioni. Era da tanto che ne parlavo e adesso finalmente è realtà».