Bruni, che da piccolo correva scalzo nel cortile e per questo era chiamato “l’abissino”. Bruni, che da bambino cavalcava una vecchia bici con i recipienti del latte da portare all’ospedale. Bruni, che da alunno andava così forte in aritmetica da guadagnarsi il titolo di capoclasse. Bruni, che da ragazzino con il papà andava a vedere i corridori che si cimentavano in un circuito cittadino intorno alla stazione. Bruni, che da balilla moschettiere si arrampicava sulla fune e lanciava il giavellotto.
Bruni, che da un meccanico ricevette la prima bici da corsa a due condizioni: la prima, “che tu cominci a correre”, e la seconda, “che tu cominci a fare qualche risultato”, altrimenti “me la restituisci”. Bruni, che nella prima corsa fu poco fortunato: si arrotò con un altro corridore e finì contro un albero. Bruni, che nella seconda corsa fu più fortunato: volata di gruppo, decimo posto, mica male per uno che correva da “libero”. Bruni, che nella terza e nella quarta corsa arrivò secondo. Bruni, che alla prima corsa dell’anno successivo giunse primo, staccando tutti. E poi concesse il bis. E poi si impadronì del tris.
Bruni, quel Bruni, Dino Bruni, del 1932, ferrarese di Portomaggiore dunque portuense, corridore della Portuense e poi della Conselice, che da dilettante conquistò un argento olimpico (Helsinki, 1952) e un bronzo mondiale (Frascati, 1955), che da professionista trionfò in tre tappe del Tour de France, due del Giro d’Italia e una del Giro di Svizzera, nonché in classiche del calendario italiano (e allora internazionale) come la Tre Valli Varesine, il Giro della Provincia di Reggio Calabria e la Coppa Sabatini. Bruni, che nel 1964 – il suo ultimo anno da pro – si impossessò dell’ultimo posto nella classifica del Giro d’Italia, e in premio ricevette un fucile Beretta, perfetto per lui che non era solo un cacciatore di tappe.
Luciano Boccaccini ha scritto “Dino Bruni – il piacere della sfida” (Il Fiorino, 128 pagine, 12 euro), in cui Bruni, in prima persona, racconta la sua vita e la sua storia, le sue corse e i suoi corridori, le sue gioie e i suoi rimpianti, una classica che dura da più di 86 anni e che lui sta ancora pedalando con la stessa grinta di quando allargava i gomiti e gareggiava con Van Steenbergen e Van Looy. E l’altra sera Bruni con i suoi splendidi 86 anni vissuti di corsa era ad Argenta, una quindicina di chilometri da casa, nell’ambito del Festival del ciclista lento, per nobilitare la presentazione di “Spingi me sennò bestemmio”, in cui un capitolo è dedicato alla sua maglia nera. Bruni, attento a calibrare le parole, combattivo nel ricordare i nomi, generoso nel tramandare i dettagli di fughe, inseguimenti, volate, cadute, incidenti. Che onore, che privilegio, che incantesimo. Un piccolo miracolo estense.