Tre vittorie di tappa con Affini, Lonardi e Dainese. Tre ragazzi che provengono dalla SEG Racing Academy, una Continental olandese, e dalla sempre verde Zalf Euromobil Désirée Fior. Nella generale abbiamo ottenuto un più che onorevole ottavo posto con Alessandro Covi della Colpack. E un dodicesimo posto con Luca Covili della Mastromarco Nibali. Insomma, non male. Non c’è da fare i salti di gioia, ma nemmeno stracciarsi le vesti. E in tutto questo Davide Cassani ha il grande merito di aver riproposto l’anno scorso il Giro d’Italia Baby, non solo cercando tappe e disponibilità, ma anche risorse e sponsor di prestigio.
Detto questo, però, basta con la solita litania delle squadre Under 23 che hanno fatto il loro tempo e di come sono belle, risolute e risolutive quelle Continental. Non ce ne voglia Ivan Basso che, con Alberto Contador, ha messo in piedi un bellissimo progetto con la Polartec Kometa: i suoi ragazzi - tra la meglio gioventù del mondo – sono venuti al Giro Baby e hanno rimediato le loro salutari scoppole come molti team Under 23 di casa nostra.
Ha ragione Cassani nel dire che i confronti devono essere più veri e autentici. Più internazionali. Più continui, anche con formazioni e corridori professionisti, in modo da abbassare le orecchie e accorciare la lingua a tanti presunti campioncini di casa nostra. È vero che il Giro deve essere selettivo e forse anche più duro come negli anni d’oro, ma non tutto deve essere buttato. Gianni Moscon, tanto per fare un nome, viene da una formazione come la Zalf e Simone Consonni arriva dalla Colpack, formazioni che da anni stanno garantendo con regolarità un certo ricambio al nostro movimento.
Dobbiamo crescere. Vero anche questo. Ma dobbiamo soprattutto cambiare mentalità e farla cambiare soprattutto a chi mette le palanche, spende quattrini e, fino a prova contraria, si diverte a vincere. Dobbiamo far capire loro che non è la morte di nessuno se anziché 40 vittorie stagionali se ne raccolgono 15/20, ma di maggior livello, peso e spessore, perché ottenute in giro per l’Europa o per il mondo. I team stranieri che si sono presentati al Giro Under 23 (di controlli a sorpresa non mi risulta che ce ne siano stati, ma questo è un altro discorso), hanno preparato la corsa per mesi. Alcuni sono andati a correre il Giro di California contro Sagan e Majka. Hanno appreso i segreti del mestiere, e preso sonore scoppole: i nostri patron sono disposti a questo? Non è un passaggio di poco conto, ma epocale, quasi filosofico, sicuramente etico. È un po’ come far passare il messaggio che chi paga più tasse è figo, in un Paese, il nostro, che pensa esattamente il contrario.
Ha ragione il nostro CT quando dice che nel nostro mondo regna troppo «poverinismo». Ha ragione quando dice che si corrono poche corse a tappe e pochissime cronometro. Mi trova concorde con il dire che non è possibile andare all’università passando direttamente dalle scuole medie. Detto questo, però, non è solo una questione di gare e di avversari che s’incontrano. Non è solo una questione di formazioni Continental o team di Under 23. Il primo passo, il più difficile e ostico, è quello che devono compiere da qui in avanti i signori di Zalf, Colpack, Hopplà o Mastromarco, Palazzago o CT Friuli e via elencando: sono disposti a far correre i loro ragazzi con una mentalità nuova? E prima di arrivare agli Under 23, vogliamo parlare della categoria juniores, che è semplicemente fuori controllo, dove ci sono ragazzi che arrivano a percepire anche 3 mila euro di rimborsi spese al mese?
In ogni caso, stiamo sereni. La regola è sempre una e una sola: se hai il motore diventi corridore, se non ce l’hai, fai quello che puoi. E se hai motore e carburante, devi sapere che la benzina non dura in eterno. Se ne sprechi molta prima, da ragazzo nelle categorie giovanili, non ne avrai più dopo, quando servirà nel mondo del professionismo. Questo è banale quanto matematico. Noi, invece, vogliamo vincere sempre, e quando dico noi chiamo in causa anche la nostra Federazione, con le sue formazioni giovanili tinte di azzurro. Anche loro, come i vari patron d’Italia, sono disposti a vincere qualche medaglia in meno per portare al professionismo qualche talento in più? Questo è il vero interrogativo. Questa è la vera sfida. Ognuno di noi ha sempre a portata di mano il ricettario per fare la ricetta da far seguire agli altri. Ma forse è il caso di posare il ricettario e provare a seguire tutti assieme la stessa ricetta. Può farci solo bene.
SUPERCAZZOLA MONDIALE. Torna buona anche l’Italia, la tanto bistrattata Italia con il progetto Vicenza e Venezia per il 2020, che non ha i soldi e li attende dal Governo gialloverde, quello pentaleghista. È già la terza volta che ci viene concessa una deroga, ma sia ben chiaro, non è l’Uci a fare un favore all’Italia, è viceversa. Se non ci fosse Vicenza disposta a organizzare questa rassegna iridata, i mondiali 2020 non si farebbero. Per questa ragione, se fossi in Claudio Pasqualin o Moreno Nicoletti, referenti e anima di questo progetto del Nord-Est, pretenderei anche un sostanzioso sconto, altro che deroghe.
Bene, in questo clima da Apocalypse Now, David Lappartient, che sicuramente ha voglia di fare ma non deve aver capito bene la situazione, ha pensato di lanciare il SuperMondiale, che pare essere una cosa da Amici Miei, quindi da supercazzola. Un appuntamento quadriennale - prima edizione nel 2023 – che si terrà in un’unica sede (Glasgow) e ospiterà le prove iridate di strada, mountain bike (cross country olimpica, cross country Marathon e downhill), pista, BMX Racing, urban cycling (BMX Freestyle Park, trial e mountain bike eliminator), paraciclismo strada e pista, ciclismo indoor (artistico e ciclo-palla) e Gran Fondo. Una vera e propria Olimpiade del ciclismo. Durata prevista? Tra i 17 e i 19 giorni. 120 le nazioni attese al via, 2.600 gli atleti d’élite, 6.000 gli amatori, 10.000 gli accreditati tra cui 700 giornalisti. Nelle intenzioni questa Supercazzola mondiale andrà in scena nell’anno che precede le Olimpiadi estive. Dicono possa essere vetrina straordinaria per il ciclismo. Per quanto mi riguarda penso possa essere molto più semplicemente la fiera delle vanità, con il serio rischio di mettere a nudo tutta la nostra povertà: di idee e di finanze. Non abbiamo risorse per organizzare un mondiale di una settimana, figuriamoci una mini olimpiade ciclistica di quasi venti giorni. Mi pare già di sentirli: sono io che non comprendo la portata dell’evento e sono privo di visione prospettica. È probabile che abbia difficoltà a guardare oltre al mio naso, ma c’è un problema: quello che ho attorno lo vedo benissimo.
editoriale da tuttoBICI di luglio