Ciclisti, strana gente: per fermarsi, devono rompersi. Non sempre basta: vedi alla voce Nibali, che ha rimontato i rivali dopo la caduta all’Alpe d’Huez prima di arrendersi ad una frattura vertebrale, o anche alla voce Uran, che ha corso due tapponi alpini prima di arrendersi alle contusioni riportate finendo in terra sul pavè di Roubaix. Gli esempi si sprecano: nella storia e in questo Tour. L’elenco è lungo, comprende anche volti noti (Mollema) e volti nostri (Colbrelli): ne fanno parte anche un paio di corridori che meritano una citazione particolare.
Uno è Kristijan Koren, 31 anni, sloveno di Postumia. Ha una caratteristica: ha corso sette Tour e un Giro, finendoli tutti. Compagno di Nibali, nella tappa del pavè batte un piede in terra in un groviglio, riparte con la tacchetta della scarpa sistemata male e arriva al traguardo. La mattina dopo si sveglia con la pianta del piede completamente nera per via di un ematoma: gli fa così male da non riuscire ad appoggiarlo in terra. Così il suo giorno di riposo si trasforma in una corsa fra ospedali per ecografie e risonanze: gli esami escludono guai seri, così lui, dopo essersi consultato col dottor Emilio Magni, riparte. E’ ancora in corsa, 84esimo a un’ora e 45’ da Thomas: normale in bici, zoppo quando gira per l’albergo.
L’altro è Lawson Craddock, 26 anni, texano di Houston. Di Tour ne ha corso uno, due anni fa, e l’ha finito. Questo lo comincia alla rovescia: prima tappa in Vandea e finisce in terra per colpa di una spettatrice. Batte volto e spalla, ma si rialza e riparte, arrivando al traguardo con una maschera di sangue e un forte dolore al braccio colpito. Va all’ospedale e gli trovano una microfrattura alla scapola: gli fa male, ma decide di andare avanti. Facendo una promessa: in ogni tappa che concluderà, destinerà cento dollari al velodromo della città texana dove vive, per favorirne il restauro. Correndo sempre in fondo al gruppo per evitare rischi (e regolarmente in fondo alla classifica, a quasi tre ore dalla maglia gialla), ha già messo da parte 1.500 dollari e ha tutta l’intenzione di completare l’opera a Parigi.
Koren e Craddock: non sono casi unici, ma più semplicemente gli ultimi esempi di un modo di essere. Se ne sono accorti i social, che li hanno eletti a simboli, paragonandoli ad altri atleti ben più popolari e remunerati: mentre nel calcio c’è chi simula un infortunio grave, i ciclisti vanno avanti fingendo di non essersi fatti male. Forse perché chi va in bici non ha la melina come alleato, ma il cronometro come primo avversario. O solo perché il ciclismo è uno sport vero, mentre il calcio in fondo resta soltanto un gioco.