Beati gli ultimi perché saranno i primi. Stavolta è successo veramente. E non ci è voluto tanto: trenta ore. Dal centotrentaduesimo e ultimo posto al Giro d’Italia Under 23 al primo posto al Memorial Gianni Biz a Brugnera. Dall’inferno al paradiso, dal sottosuolo alla vetta, dagli occhi a terra alle braccia al cielo, dalla maglia nera ai baci delle miss, insomma, dal giorno alla notte. Anche perché la corsa friulana si è disputata proprio alla luce dei lampioni e al chiaro di luna.
Gianmarco Begnoni, professione velocista, si è rivelato il più lento – un testacoda, un carpiato, un ossimoro - nella massima corsa a tappe per dilettanti: il lento velocista (ma non il velocista lento) è arrivato un battito di palpebre prima delle tre ore dalla maglia rosa, il russo Alexander Vlasov, precisamente a 2.59’58”, ma con il rassicurante vantaggio di 22’10” su Mirco Sartori e di 22’11” sul compagno di squadra Gabriele Moreni. E se la media generale di Vlasov ha sfiorato i 40 all’ora (precisamente 39,953) nei quasi 1200 km dal velodromo di Forlì al muro di Ca’ del Poggio (precisamente 1197,2), quella di Begnoni è risultata più umana, più ragionevole, più solidale con la forza di gravità e la debolezza alla fatica.
Begnoni e la maglia nera: “Me la sono trovata addosso, senza cercarla. Una giornata storta, tante salite, il ritiro o il fuori tempo massimo di una quarantina di corridori, ed eccomi ultimo. Nessun dispiacere, nessuna vergogna, anzi, un certo orgoglio, perché questa maglia nera rappresenta il premio alla mia tenacia. In fondo, ho tenuto duro fino alla fine”.
Begnoni e la vittoria: “Una nel 2015, il primo anno da Under 23 alla Zalf. Una nel 2016, ancora alla Zalf. Tre nel 2017, nella Bottoli General Store. E quattro quest’anno, alla Viris di Vigevano. Le volate sono fatte così: alcune si vincono, molte si perdono, la verità è che sono un casino, e comunque rappresentano il mio ciclismo, la mia specialità, il mio lavoro. Le volate sono adrenalina, cioè rischio e pericolo, perché così vicini e così veloci basta un niente per saltare tutti per aria e poi sulla strada. Solo che non ci fai caso: è così alta la concentrazione che non si sente né l’ebbrezza della velocità né la fatica dell’apnea. Solo quando ti rivedi in tv, consideri con sorpresa e felicità che ancora una volta hai portato a casa la pelle”.
Ventidue anni, veronese di Valeggio sul Mincio, Begnoni è velocista da strada ma anche da pista (“Soprattutto da giovane, cinque volte campione italiano fra allievi e juniores, due volte nell’americana, una nell’omnium, nell’inseguimento e nella velocità a squadre”), fisicamente potrebbe ricordare Mark Cavendish (“Uno e sessantacinque per sessantatrè, genere compatto”) anche se lui si ispira a Paolo Bettini (“Sia chiaro: mi ispiro, ma non mi rivedo”), e da grande si immagina corridore (“Ci provo, ci spero. Attendo proposte. Non ho un procuratore, ma mi affido ai dirigenti della Viris, che hanno i contatti giusti”). Un orecchino (“Da giovanissimo: annunciai a mio padre che me lo sarei fatto mettere se fossi arrivato fra i primi tre ai campionati regionali, e arrivai secondo”), un secondo orecchino (“Un anno fa, senza annunci e senza podi, ma solo perché mi piaceva”), un tatuaggio impegnativo (“Alla fine del 2017, illustra l’altra mia passione, la pesca, che con il ciclismo ha poco o niente da dividere, se non che la pesca è il relax dopo lo stress del ciclismo”).
E la maglia nera? “Adesso è in camera, ma finirà incorniciata in un quadro”. E il premio di 800 euro? “I soldi arriveranno alla società e li dividerò con i miei compagni. Essere squadra vuol dire dividere tutto, e non si parla solo di soldi”.
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