Per venticinque anni ha diretto capitani e gregari, gestito velocisti e scalatori, confortato finisseur e cronomen, incoraggiato maglie rose e motivato maglie nere. Per venticinque anni ha fronteggiato crisi e trionfi, interpretato dualismi e duelli, architettato strategie e tattiche, vissuto vigilie e reperito sponsor. Gianluigi – Gigi – Stanga è al Giro d’Italia Under 23 (foto di Roberto Miserocchi) per rappresentare uno dei principali sponsor (la GLS), ma intanto non può fare a meno di osservare, confrontare e ricordare, soprattutto i suoi corridori.
Il più talentuoso? “Gianni Bugno. Andate a rivedervi la vittoria nella La Spezia-Prato, ventunesima e penultima tappa del Giro d’Italia 1989, 216 km. Scattò, prese una ventina di secondi, dietro il gruppo dei migliori a tirare, da Fignon a Giupponi, mi dissi ‘voglio vedere il Gianni quanto tiene’, da solo allungò il vantaggio a un minuto e vinse. Aveva un motore – un motore umano – formidabile”.
Il più cattivo? “Abdu. Dzamolidin Abdujaparov. Uzbeko. Velocista, vinse tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Era brutto, deciso, scomposto, ma non scorretto, non così scorretto come si racconta. In volata non cambiava traiettoria, ma zigzagava su se stesso perché era piccolo ma potente. Non guardava in faccia a nessuno, non aveva paura di niente: e il suo avversario era Cipollini. Viveva in Italia con la sorella. Ogni volta che veniva in ufficio, portava via una giacca, una ruota, un paio di scarpe, una sella”.
Il più carismatico? “Laurent Fignon. Era brillante, disinvolto, pronto. Era parigino. Una volta, a Parigi, mi invitò al Crazy Horse, fummo accolti dal direttore con tutti gli onori, e tanto per cominciare ordinò champagne. Per gli occhiali e per i modi lo chiamavamo ‘il Professore’”.
Il più avaro? “Tutti. Perché tutti i corridori credono che tutto sia loro dovuto. E questa presunzione rimane radicata anche quando smettono di correre. Ancora adesso, al bar, quando c’è da pagare un caffè, corridori ed ex corridori si tirano indietro, guardano da un’altra parte, indugiano e – come dicono in Romagna – mettono il gomito in tasca”.
Il più meticoloso? “Erik Zabel. Tedesco dalla testa ai piedi. Preciso, puntuale. Se il programma dell’allenamento prevedeva 150 km, e i corridori tornavano dopo 145, lui allungava fino a farne 150. E quando gli chiedemmo di mettersi a disposizione di Petacchi, lui accettò e fu fedele al patto”.
Il più duro? “Beppe ‘Turbo’ Guerini. Non mollava mai. Due volte terzo al Giro d’Italia. Quando Godefroot me lo chiese per la Telekom, dissi a Beppe di andare, perché avrebbe guadagnato qualche soldo in più. E con la Telekom vinse sull’Alpe d’Huez”.
Il più matto? “Simone Cadamuro. Non a caso, velocista. Estroso, estroverso, bizzarro, imprevedibile. A parole, spaccava il mondo. A pedali, spaccava la bici”.
Il più bizzarro? “Sergei Ouchakov. Ucraino. Vinse tappe al Giro, al Tour e alla Vuelta. Quella al Tour, la Mende-Revel, nel 1995, in volata a due contro Lance Armstrong: ai meno 2 Armstrong smise di tirare, allora Ouchakov si portò sul lato sinistro della strada, contro le transenne, per controllare Armstrong solo da una parte, la destra, e quando Armstrong saltò sui pedali per fare la volata, Ouchakov lo imitò e vinse la volata stando sempre in testa. Mi fece impazzire di gioia. Ma nella vita di tutti i giorni spendeva il doppio di quello che guadagnava: andava in giro con un Mercedes a noleggio, affittava appartamenti dimenticandosi di pagare le rate… Cose così”.
Il più testone? “Vanotti, non Alessandro, che pure ho avuto, ma Ennio, suo zio. Gli raccomandavo di stare vicino a Bugno, lui si lamentava perché Bugno scivolava in fondo al gruppo. Io – mi spiegava – per portarlo avanti faccio una fatica bestia, a lui basterebbero due pedalate”.
Il più playboy? “Zanatta, Martinello, Fidanza… Erano belli e, perdipiù, corteggiati. Ma c’era da capirli. E all’estero, così sostenevano, valeva tutto, ogni lasciata era persa”.
Il più superstizioso? “Tutti. Chi con le scarpe, chi con la maglia, chi con il segno della croce, chi con il posto sul pullman. Non c’è corridore che non abbia la sua piccola ossessione o rituale”.
Il più ritardatario? “Denis Zanette. Agli appuntamenti arrivava all’ultimo momento, spesso dopo. Meccanici e massaggiatori lo avevano avvertito: se Stanga dice alle 8, voi venite un quarto d’ora prima, perché alle 8 lui parte. Al Giro delle Fiandre del 2001 persi la pazienza e lasciai Zanette in albergo. Mi telefonò quando noi avevamo già fatto 20 dei 50 km da Kortrijk a Gand, dove era fissata la partenza. E adesso?, mi domandò. Fatti portare dalla cameriera, gli risposi. E così fece: arrivò accompagnato in macchina dalla cameriera, poi si cambiò, saltò sulla bici e fece terzo”.
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