di Cristiano Gatti -
Caro Beppe, inteso come Saronni, ormai in questo Giro mi ritrovo a fare la De Filippi, mandando posta a destra e a sinistra. Spero aprirai questa mia lettera, perché te la mando in semplice amicizia, senza fingere il tono formale che tra noi non c’è mai stato, anche perché tutti e due odiamo le ipocrisie e le finte cerimonie, ma soprattutto dobbiamo rispetto e sincerità a chi eventualmente leggerà la corrispondenza.
Sia detto fuori dai denti: la tua idea di considerare una ragazzata lo spettacolo dei corridori UAE nella cronometro di Rovereto mi spiazza completamente. Proprio fatico a capire. Cioè: capisco la tua esigenza di sminuire, minimizzare, attenuare la portata di tre corridori – neanche di secondo piano – penalizzati per furbate varie. Non sto nemmeno qui a spaccare il capello in quattro sui singoli episodi, non ne ho proprio intenzione, anche perché le immagini le abbiamo viste tutti e resta poco da sottilizzare. E’ lo spirito della cosa che spicca su tutto quanto: tu la metti più o meno sul piano della goliardata, io sinceramente non ce la faccio proprio.
Sincerità per sincerità: io, al tuo posto, sarei infuriato come un bufalo. Anche se si tratta soltanto, come dici, di una scombiccherata farsa tra bontemponi. L’idea che Conti e Ulissi facciano il Trofeo Baracchi del terzo millennio sarà pure pittoresca, farà anche morir dal ridere, ma io non riesco a dimenticare che questa crono non era un raduno a sfondo benefico di fine novembre, bensì una prova importantissima di una grande competizione internazionale. Come si usa dire, il mondo ci guarda. Vi guardava. E ha visto la tua maglia svilita in una truffa – se vogliamo dirla seria – o in una commedia – se vogliamo buttarla in ridere – che in ogni caso provoca danni incalcolabili.
Per questo dico che al tuo posto sarei un bufalo. Hai fatto una fatica dannata a mettere assieme una delle più belle e prestigiose squadre del mondo, hai alle spalle un paese sovrano, mandi in strada il tricolore del campione italiano: tutto questo, caro Beppe, non può passare in secondo piano, sovrastato dallo schiaffo del soldato che i corridori si sono improvvisati in mondovisione, con la tua successiva benedizione.
Va bene, siamo un popolo rappresentato nei summit mondiali da un presidente del consiglio che faceva le corna nelle foto ufficiali, ma restiamo pur sempre l’Italia e il Giro d’Italia. E tu rappresenti pur sempre la Uae, cioè gli Emirati Arabi. Continuiamo a dire che il ciclismo deve crescere, ma a me pare che questa cronometro vostra ci riporti indietro al clima del carnevale di Viareggio. Senza voler pensare di peggio, al vero tarocco di stampo italiano.
La faccio troppo lunga? Sono troppo serioso? Caro Beppe, ti prego, almeno questo me lo devi risparmiare. Sai benissimo quanto mi piaccia l’ironia, e anche la goliardia, qui al Giro con i miei amici Stagi e Costa siamo un’allegra combriccola di deficientoni: ma nella nostra macchina, ma in albergo, ma nei due passi notturni.
Ridere e scherzare sono il vero sale della vita, ma non sempre, non alla viva il parroco. C’è un momento per ridere e un momento per fare le persone serie, o almeno per provare ad esserlo. I tuoi corridori possono tranquillamente lanciarsi gavettoni e togliersi la sedia di sotto il sedere in qualunque momento, ma quando mettono la maglia e salgono in bici devono essere seri, stimabili, rispettabili. Così, almeno, vorrei io se fossi uno sponsor.
A me pare invece che nella Trento-Rovereto i tuoi corridori abbiano proprio sbagliato i tempi e i modi, con il bel risultato che hai sotto gli occhi, leggendo giornali e guardando servizi televisivi: la tua squadra, la tua fatica, la tua reputazione sono sulla bocca di tutti, ma nel modo peggiore. Molto peggiore di quanto possano provocare l’assenza di risultati e il fallimento di Aru. Il motivo è molto semplice: perdere fa parte del gioco, sbracare a quel modo è una precisa scelta.
Mi sarebbe proprio piaciuto vedere all’opera il Saronni che conosco, che spiega in poche parole di fuoco la differenza tra ironia e cretinismo, tra serietà e furbizia. Voglio sperare che nel segreto del vostro confessionale tu li abbia appesi al muro, riservando soltanto al mondo esterno le parole da mammina comprensiva che abbiamo letto.
In ogni caso, questo è tutto. Spero comprenderai lo spirito della lettera: il primo dovere dell’amicizia è la sincerità. A muso duro. A costo di togliersi il saluto. Il mio spirito è questo. Cosa vuoi: non vorrei scoprire che alla causa dell’ultimo squadrone di stampo italiano tenessi più io dei tuoi corridori.