di Cristiano Gatti -
Non è mai simpatico tirare conclusioni così crude e trancianti dopo la prima salita (vera), ma la colpa non è di un mio particolare sadismo: è Fabio Aru, il nostro tricolore in tutti i sensi, che va veramente piano.
Comincia ad andare pianissimo nella prima cronometro breve del Giro, a Gerusalemme. Lì, subito un motivo ufficiale: la caduta di Froome nella ricognizione ha condizionato molto il nostro leader, consigliandogli di non prendersi rischi inutili. Cosa vuoi che siano dieci o venti secondi in più nel complesso di un Giro tanto lungo e tanto duro.
Per me, e sottolineo due volte per me, va piano anche nelle tappe nervose della Sicilia, che naturalmente non servono ai big per sconvolgere la classifica, ma a noi per misurare a loro la febbre. Anche in questo caso però c’è una motivazione precisa: cosa vuoi che vada a cercarsi, è ovvio che un fondista del suo calibro abbia bisogno di tempo per carburare, giorno per giorno la condizione cresce, all’arrivo delle montagne avremo l’Aru vero.
Poi l’Etna. Fabio va piano anche lì, combattendo eroicamente per stare con i migliori, ma a costo di immani fatiche. Stilisticamente, lui e Froome firmano lo spot antiestetico della lite furibonda con i manubri, quasi avessero una questione personale e insanabile con i materiali, tanto da volerli piegare a mani nude come Braccio di Ferro dopo le spinaci. Stavolta, motivazione tecnica: l’Etna non è salita per lui, troppo veloce e poca pendenza, già ottimo il risultato di non perdere terreno.
Quindi, Montevergine: mai tra i primi, mai brillante, mai padrone della situazione. Motivazione ufficiale: calma, giorno per giorno migliora, non è su salite da trenta all’ora che si può fare la differenza. Caso mai domani, a Campo Imperatore…
Purtroppo, Campo Imperatore. La salita seria, la salita attendibile. La salita sincera. Anche stavolta, soprattutto stavolta, il check-up fornisce un quadro clinico disarmante. Non solo Fabio non evidenzia timidi segnali di miglioramento: è desolatamente e irrimediabilmente brutto. Fatica come un fachiro per tenere qualche ruota giusta, che però perde. Infine, quando si scatena la polveriera del volatone finale, lo si vede sullo sfondo zigzagare in totale affanno, perdendo un sacco di tempo. Per la motivazione ufficiale, stavolta, consiglierei di andare decisi su un dignitoso silenzio.
La verità è che ormai le scuse e i luoghi comuni sono già esauriti, nemmeno a metà Giro. Adesso sta partendo il disco che suona speranza e consolazione, ma sì, sai quant’è ancora lungo il Giro, sai quanta salita ancora. Personalmente non la metterei così sul roseo: il Giro è ancora talmente lungo, la salite sono ancora così tante, che c’è anche tutto il terreno per peggiorare ulteriormente. Ci sono momenti, nella carriera di un atleta, in cui prima finisce il tormento e prima si può provare un nuovo inizio.
Senza voler infierire, non posso proprio tralasciare nemmeno un doveroso pro-memoria: nel Giro che sta per arrivare c’è anche una cronometro, la vera cronometro dell’edizione 101, e non mi pare proprio che questa sia la giornata più indicata per storiche rimonte.
Al momento sento dire qui in Giro che Aru paga la decisione scellerata di correre poco in primavera. Poche gare, poco ritmo, poco clima-partita. Non è una spiegazione stupida. Però non ho proprio idea di quanto possa bastare alla popolazione tifosa d’Italia, che su di lui, in assenza di Nibali, aveva riposto tutti i propri sogni.
Io sarò frettoloso, ma guardando la classifica, guardando quanti avversari ha davanti, guardando la crono che l’aspetta, consiglierei Fabio di farsene subito una ragione. Se un Giro vincerà, non credo proprio sia questo. Piuttosto, si concentri su qualche bella tappa d’alta quota. E soprattutto cominci a fare un pensiero sull’imminente estate: se ha già prenotato per la spiaggia, disdica e provi a prendere in considerazione l’ipotesi di tre settimane in Francia.