OSCAR. LO SCATTO DEL PANDA

TUTTOBICI | 11/11/2017 | 07:04
Paolo Slongo è stato scelto come miglior direttore sportivo del 2017 sia dal pubblico dei tifosi che dalla giuria di qualità formata da giornalisti e da direttori sportivi in attività. Al tecnico veneto della Bahrain Merida nel corso della Notte degli Oscar che si svolgerà il prossimo 20 novembre a Milano verrà assegnato il Gran Premio GR Grafiche. Lo storico allenatore di Vincenzo Nibali ha avuto la meglio allo sprint contro Davide Bramati della Quick Step Floors, detentore del titolo, e Giovanni Ellena, che si consola con lo scudetto tricolore conquistato dalla sua Androni Sidermec.

Vittoria di misura, come nelle volate che disputavi da ragazzo...
«Già. La bicicletta è entrata nella mia vita grazie a papà Albano, che era mastrovetraio, ed extra lavoro aveva due grandi passioni: suonare la fisarmonica (con la quale si diverte ancora oggi a 83 anni) e il ciclismo. A scuola avevo un compagno di classe il cui papà, Paolo Crema, era sfegatato tifoso di Moser. Questo signore, amico dei miei genitori, mi portava con il pullman a vedere la Sei Giorni di Milano e altre corse del grande Francesco di cui sono di conseguenza diventato tifoso anche io. Da giovanissimo, il giorno che ho chiesto una bici, mi ha portato a Trento, al negozio di Moser. Così a 10 anni su una biciclettina dal nome prestigioso ho mosso le mie prime pedalate. Ho corso fino alla categoria dilettanti, 3 anni all'UC Trevigiani e 2 alla Record Cucine Caneva».

Dalla bici sei passato subito all'ammiraglia.
«Proprio così. Nel 1996 alla Record Cucine Caneva un direttore sportivo era appena andato via e io, nelle ultime stagioni da corridore, avevo fatto tutti e tre i livelli di corso per ottenere la licenza da ds così iniziai subito al fianco di Ezio Piccoli, recentemente scomparso, e Gianni Biz. Già quando correvo ero una figura di unione tra Piccoli, il medico del team e i corridori. Eravamo proprio agli inizi della preparazione con il cardio frequenzimetro, delle tabelle e dei test, io traducevo questo strano e nuovo linguaggio ai miei compagni. Da lì mi è nata la passione per l'allenamento. Quando correvo non amavo studiare, mi sono diplomato geometra, poi per qualificarmi ho frequentato fino al corso di quarto livello del CONI. La parentesi con la Nazionale Italiana dal 2000 al 2005 mi ha formato. Lavorare con le azzurre juniores al fianco di Fusi e Salvoldi mi ha fatto crescere, la collaborazione con il Centro Studi del Coni e il confronto con i professori Faina e Callozzi mi ha fornito un bagaglio di esperienza importantissimo».

Cosa rappresenta per te questo premio?
«Un orgoglio da condividere con tutte le persone con cui lavoro, in particolare con i colleghi Stangelj e Volpi, e in generale tutta la Bahrain Merida. Nel ciclismo di oggi la figura del ds è cambiata molto e si è specializzata, oltre che del lavoro vero e proprio in gara, c'è chi si occupa delle bici, dell'abbigliamento, della logistica... io della preparazione. Per far funzionare il tutto serve un gruppo solido».

A chi lo dedichi?
«A mia moglie Valeria, la persona migliore che potessi desiderare al mio fianco. Ci siamo conosciuti ai Liquigas Camp, è una compaesana di Amadio, con le sue due lauree, una in comunicazione-marketing aziendale e l'altra in sociologia, era stata coinvolta nel progetto. Ci siamo conosciuti e pian pianino ha capito e iniziato ad apprezzare il mio mestiere. Questo lavoro impone di stare a lungo lontano da casa, è importante che chi hai a fianco lo capisca. Lei ormai mi conosce: sa che anche quando sono a casa prima di appuntamenti importanti con la testa è come se non ci fossi e che dopo un grande giro ho bisogno di una settimana per riprendermi».

I corridori che ti hanno regalato più soddisfazioni?
«Quelli che sono passati professionisti con me, che ho "tirato su" da giovani come Viviani e Guarnieri, che tanto ha vinto tra gli Under 23, tra i dilettanti ho seguito anche Trentin. Sagan è un fenomeno in tutto, abbiamo ancora un bel rapporto, alla Tirreno-Adriatico mi ha regalato la sua maglia iridata autografata dedicandola a "Panda" come mi aveva soprannominato in ritiro ai tempi della Liquigas».

Nibali ha un posto speciale nella tua storia professionale.
«A Vincenzo devo tanto, la popolarità è venuta grazie ai suoi successi, anche questo premio è "facile" conquistarlo se hai a che fare con un campione come lui. Puoi essere un bravo preparatore, ma senza un nome forte il mondo fa fatica ad accorgersene. Il nostro primo incontro risale a un campionato del mondo dilettanti a cronometro, che ha preceduto le stagioni trascorse assieme alla Liquigas. Poi, nel 2013, è stato ingaggiato dall’Astana, io sono rimasto per un’altra stagione alla Liquigas vincendo il Giro d’Italia. Quindi siamo tornati ad essere una "coppia" nel 2014 che ha segnato decisamente la carriera di entrambi. Il giorno che mi ha detto "voglio che vieni con me" il nostro rapporto è cambiato. Ha capito evidentemente che ero la persona giusta per lui. Abbiamo due caratteri forti, ci scontriamo ancora spesso, ma se non fosse per lui non sarei arrivato dove sono ora».

Cosa ti piace del ciclismo di oggi?
«La metamorfosi che c'è stata rispetto al passato sul doping. A livello World Tour è stato fatto tanto, per una figura di ds che guarda all'allenamento come la mia oggi è molto più facile lavorare sapendo di poter contare su controlli seri».

Cosa cambieresti se avessi una bacchetta magica?
«Il metodo Sky non mi piace. Forse sono invidioso perchè mi fa perdere in tante occasioni, come alla Vuelta di quest'anno, ma quando devi confrontarti con rivali che hanno mezzi sproporzionati rispetto a te, ti senti debole e impotente. E poi non mi piace come corrono».

Un sogno che il "ds dell'anno" deve ancora realizzare?
«La maglia iridata con Vincenzo e poi c'è la cicatrice ancora aperta dell'Olimpiade. Da Rio è rimasto un conto aperto, a Tokyo 2020 leggo che potrebbe esserci salita, chissà... Potremo riscattarci già al prossimo mondiale, Innsbruck ci offrirà una bella occasione».

Giulia De Maio

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