“Il giorno che Valvoline prese a vestirsi di nero fu il giorno che ‘La Gazzetta dello Sport’ pubblicò un trafiletto dove si dava notizia che Antonio Meneghini…”.
Se ne andò quarant’anni fa. Chi lo avrebbe mai detto, sembrava così felice. Chi lo avrebbe mai immaginato, sembrava così allegro.
“Quello del Giro d’Italia, te lo ricordi, no? Lo facevano sempre vedere in tele, lui che arrivava al traguardo tutto bello sorridente, una mano sul manubrio della bici e l’altra a sventolare il cappello con la piuma. Uno contento come una pasqua…”.
Lo chiamavano Toni, Toni l’alpino, metà degli alpini si chiama Toni. Era l’alpino del Giro d’Italia. Era quello che precedeva la corsa, anche lui in bicicletta, dopo la carovana, ma prima dei corridori.
“Ma dai che te lo sai chi è, ogni volta mandava un sacco di baci alle miss del palco…”.
Era vicentino di Chiampo, vicino ad Arzignano. Era una comparsa, un caratterista, un attore non protagonista. Ma uno di quelli che ti ricordi per sempre.
“E’ che non so perché l’ha fatto, sulla Gazzetta non c’era scritto. Il tale si è impiccato e basta. Capisci che è tremendo?...”.
Depressione. Quel male oscuro che ti rumina fino a consumarti e inghiottirti. Quel tunnel buio in cui non si scorge mai una luce. Quel gesto tragico, un atto di supremo coraggio in un periodo di abissale debolezza.
“Il trafiletto faceva una certa impressione: perché era molto burocratico e perché la carta della ‘Gazzetta dello Sport’ è rosa e il verbo impiccare su sfondo rosa stona…”.
Toni, l’alpino del Giro, risorge in un libro – i libri sanno come donare l’eternità -, “I sogni belli non si ricordano”, del 2014, scritto da Carlo Verdelli, che è stato anche direttore della “Gazzetta dello Sport” (e oggi di “Oggi”), pubblicato da Garzanti, recuperato in un book crossing. E risorge, non sarà certo un caso, durante il Giro d’Italia. La sua storia è già stata raccontata, proprio qui, per Tuttobiciweb, da Giuseppe Figini, una decina di anni fa (https://www.tuttobiciweb.it/article/64126).
“Ma vedrai, domani quelli della ‘Gazzetta’ rimediano, sistemano tutto. Me lo vedo già – e spalanca le braccia come a tenere aperto un giornale immaginario -, un paginone intero, anzi due”.
L’alpino – ma pure il diavolo, anni dopo – era un corridore che non correva, correva ma fuori dall’ordine di arrivo e dalla classifica generale. Il Giro è una fabbrica di ricordi, una miniera di persone, un’officina di sentimenti, un laboratorio di pezzi. Chi scrive pezzi. Chi va a pezzi.
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