Comincia con due negazioni. La prima è per la bicicletta di Leonardo da Vinci: un falso storico. La seconda è per il celerifero (o velocifero) del Conte di Sivrac: spesso vagheggiato, però mai esistito. Continua con il barone Karl Friedrich Ludwig Christian Drais von Sauerbronn, che il 12 giugno 1817 mostrò per la prima volta in pubblico la sua nuova invenzione: un carrello a spinta umana, il sostituto del cavallo, ribattezzato “macchina per camminare” (e non per correre). Ma che avrebbe corso, da carrello a bici, sempre più studiata, sofisticata, elaborata, perfezionata, alleggerita, oggi che la tecnologia è diventata una sorta di teologia. E avrebbe corso nella storia sociale, commerciale, scientifica, culturale. E ovviamente sportiva.
Alfredo Azzini ha scritto “Alle origini della bicicletta” (Ediciclo, 224 pagine, 25 euro), una ricostruzione storica precisa, documentata, essenziale. Questo è il primo volume dell’opera, nel secondo si occuperà dell’evoluzione sociale e sportiva. Negati la bicicletta di Leonardo e il celerifero del Conte di Sivrac, e affermata la draisina, Azzini tratta l’applicazione della pedivella, quindi le trasformazioni meccaniche legate a telai e ruote, i bicicli, i tricicli e i bicicletti, infine il mondo a due ruote in Italia, con una particolare attenzione ai marchi e a particolari tipologie come le biciclette militari, a posti multipli, acatene, da lavoro e acquatiche.
Il valore dell’opera di Azzini sta nel rigore delle sue ricerche. Non si fida e affida, ma dubita e sospetta. Non copia e incolla, ma scava e scopre. L’invenzione della pedivella, per esempio, è un vero e proprio giallo, protagonisti i fabbri Michaux padre e figlio, il fabbro ferraio Pierre Lallement e i tre fratelli imprenditori Olivier, impegnati fra dimostrazioni e brevetti, lettere e richieste, menzogne e autocertificazioni.
Settant’anni, cremonese di Soresina, commercialista, Azzini è anche un collezionista di biciclette. Anzi, tutto è cominciato da lì, e il titolo suona profetico, “Alle origini della bicicletta”, un cerchio che si chiude, una ruota che gira. I suoi 240 tesori, bellezze, esemplari resuscitati, pezzo per pezzo, cercato e trovato, originale.
E se è vero – come è vero – che parlare delle biciclette è un po’ come parlare di noi, allora questo libro è il nostro albero genealogico, la storia della nostra grande famiglia a due ruote.
Se sei giá nostro utente esegui il login altrimenti registrati.