E’ morta un mese fa, Mariateresa Montaruli. Giornalista, autrice, scrittrice, blogger. Consumata da un cancro al pancreas. Aveva 60 anni. Erano state le strade della bicicletta e del ciclismo a incrociarci e farci incontrare. Una presentazione di libri la vigilia dell’Eroica, a Gaiole in Chianti: auditorium, palco e platea, microfono, parole orali per spiegare quelle scritte, storie di corse e corridori per me, storie di viaggi e paesaggi per lei, in comune la passione per il pedalare e il raccontare. Così come si erano incrociate e sovrapposte, poi le strade si sono separate e allontanate, neanche tanto, quel poco che impedisce di vedersi, ma non di sentirsi e seguirsi.
Mariateresa aveva scritto un libro, bellissimo il titolo, “Ho voluto la bicicletta” (Vallardi, 226 pagine, 15,90 euro), e teneva un blog, bellissimo anche questo titolo, “Ladra di biciclette”. Un titolo – si dice – vale almeno la metà del testo, ma non qui, perché i suoi testi sempre incuriosivano, interessavano, valevano. Lo penso anche adesso, costretto a rileggerla per riviverla. I libri non moriranno mai perché, fra le loro proprietà, c’è proprio quella di restituire eterna vita anche ai loro autori. E Mariateresa è come se fosse qui, anche lei nella penombra per combattere il caldo, anche lei alla tastiera per accompagnare la solitudine.
“Ho voluto la bicicletta” è stato pubblicato nel 2021. Ha una formidabile dedica geografica indirizzata ai quattro punti cardinali: “Grazie Nord che porti il vento e muovi l’aria, il respiro della vita, trasformando i sogni in una più ampia verità. Grazie Sud che mi riconnetti con il gioco, il gusto, le emozioni e le maree che si muovono dentro e fuori di me. Ti saluto Est, scintilla di vita e rigenerazione che sostieni ogni alba, principio e atto creativo. Sono grata anche all’Ovest, il posto dove risiedono le radici, matura l’esperienza e riposano gli antenati”. E questa dedica vale già il prezzo del biglietto.
Il libro si compone di quattro parti: la prima è personale (“Come sono diventata blogger di bicicletta”), la seconda didattica (“Cose che ho imparato con la bicicletta”), la terza, la più voluminosa, cicloturistica (“Esperienze a pedali” nelle regioni italiane tranne – peccato – Valle d’Aosta, Lazio, Abruzzo, Campania e Calabria, più altre cinque in Paesi Bassi, Francia, Austria, Croazia e Grecia), infine un’appendice con glossario di informazioni e gergo (in inglese e francese) per viaggiare. Dunque un po’ diario e autobiografia, saggio e manuale, guida e – ma sì – testamento. Perché qui, sapendo e rileggendo, cerco di scoprire ed esplorare non solo i luoghi pedalabili, ma anche quelli sentimentali, non solo gli itinerari delle nostre terre, ma anche quelli della sua anima.
E allora, ecco Mariateresa in salita: “Il posto dove comanda la lentezza, dove si va sapendo che si può morire di fatica, ma con l’intenzione di non perire. Per i ciclisti, una malia, una vertigine irrazionale, ma necessaria: l’unica maniera per raggiungere, in modo nobile, il punto più vicino alle nuvole”. E allora, ecco Mariateresa in cucina: “Partivo con la borraccia piena d’acqua, anche se avrei voluto riempirla di succo di sambuco, una ricetta scoperta a Tarvisio che gioca sul numero tre: 30 fiori, 3 litri d’acqua, 3 chili di zucchero, 3 limoni a fette sottili, 3 piccole prese di acido salicilico, da tenere in infusione per 3 giorni e 3 notti”. E allora, ecco Mariateresa nel vento: “Ho passato l’estate del 2020 in un eremo di campagna, osservando ogni giorno la direzione del vento, come se dovessi salpare. Lo scirocco di sud-est ha bussato poche volte alla mia porta con il suo carico di umidità. Da sud-ovest, il libeccio si è affacciato per appena due giorni portando con sé un bottino di pioggia e mare piatto. Il maestrale, lui sì che mi ha fatto compagnia, ingrossando le onde di giorno, rinfrescando le sere con quell’odore di bucato fresco spruzzato di salsedine”.
Buone pedalate, Mariateresa.
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