L’ha battezzata GPM, l’acronimo non di grana pomodoro mozzarella, ma di gran premi (della) montagna, la classifica riservata agli scalatori che lui conquistò due volte al Giro d’Italia (1995 e 1996) e una a Tirreno-Adriatico (1993) e Settimana Catalana (1995). Ingredienti: pomodoro, mozzarella, spinaci, uovo fresco e origano. Prezzo: 10 euro.
La GPM è una delle pizze speciali di Mariano Piccoli, 13 anni da professionista e una dozzina di vittorie, fra cui tre tappe al Giro e tre alla Vuelta. La sua è una storia famigliare di ciclismo (il papà Nillo, prima dilettante, poi direttore sportivo; e il fratello Mauro, dilettante) e pizze (il Rosalpina: non solo pizzeria, ma anche ristorante con specialità trentine e discoteca, a pochi chilometri da Trento, in località Pianizza). Tant’è che Mariano, da allievo – era il 1986 -, correva per la S.C. Pizzeria Rosalpina voluta dal papà Nillo, e con questa maglia s’impadronì prima del titolo di campione provinciale, poi di quello regionale.
Si chiacchiera di corse in bici e a piedi (Mariano, dopo alcune mezze, a ritmo di 1.25’, sta preparando la sua prima maratona), di Giro e Tour, di amici e colleghi (corridori pizzaioli? Fortunato Baliani!), di imprese e avventure. E anche di Dino Zandegù. Mariano lo aveva avuto come direttore sportivo alla Brescialat, dal 1995 al 1998, e – lo dice subito – “ero uno dei suoi pupilli”.
Quella Milano-Sanremo del 1996: “Riunione, assegnazione dei compiti, Zandegù mi disse di tenere d’occhio Gabriele Colombo. Non Museeuw o Bartoli o Fondriest, non Armstrong o Cipollini o Baldato, non Bugno o Van Petegem o Sorensen. Ma Gabriele Colombo. E a vincere fu proprio lui, Gabriele Colombo. Allora?, mi fece Zandegù. Non bastava tenerlo d’occhio, gli risposi, ci volevano anche le gambe”.
Sempre quella Milano-Sanremo del 1996: “Prima della partenza Fausto Pinarello mi aveva consegnato un nuovo tipo di bici. Me la usi? Me lo fai uno scatto? La usai e poi scattai. Allo scatto rispose un solo corridore, il tedesco Rolf Aldag, grande e grosso, un passistone. Lo scatto divenne una fuga a due. Dopo una quarantina di chilometri, Zandegù mi affiancò sull’ammiraglia e mi incoraggiò: ‘Dai che siamo in diretta tv’. Dai e dai, sul Turchino avevamo ancora più di due minuti sul gruppo, la fuga durò 160 km, a tirare era quasi sempre Aldag – si stava così bene alla sua ruota -, ai piedi del Berta fummo ripresi. Risultato: io finito, tanto da non tenere più d’occhio Gabriele Colombo, però Pinarello e Zandegù felici e grati”.
Quella tappa del Giro d’Italia del 1998: “La prima tappa, da Nizza a Cuneo. Gruppo compatto, volatona. Macché, rotonda a un chilometro e mezzo dall’arrivo, caduta, rimontai, tirai diritto sotto lo striscione dell’ultimo chilometro, saltai anche Denis Zanette, vinsi per distacco e indossai la maglia rosa. Davide Cassani, sul palco come opinionista, disse che mi ero avvantaggiato approfittando della caduta degli altri corridori. Allora Zandegù – presenti al ‘Processo alla tappa’ anche Cannavò, Neri, Ferretti, Cerqueti e Argentin – gli saltò addosso, precisò che non avevo sfruttato la baraonda, che ero scattato regolarmente da dietro, che avevo compiuto un’impresa fantastica e illuminato una giornata memorabile, e ricordò che non ero nuovo a questi finali, ‘però minimo 20-30 volte è stato ripreso a 30-40-50 metri dal traguardo’. Quando Zandegù fu invitato a cantare, ritrovò finalmente tranquillità e sorriso. E intonò ‘Un amore così grande’: ‘Sento sul viso il tuo respiro. Stringiti forte a me, non chiederti perché. La sera scende già, la notte impazzirò…’”.
Quella volta che alla partenza, ai suoi corridori, Zandegù ricordò le regole: “Se fori, alza la mano destra. Se hai un problema meccanico, alza la mano sinistra… Dino, gli dissi, non siamo mica degli esordienti. Lui non ne era convinto. Vedremo, commentò”.
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